Abbi cura

Abbi cura

Io del Festival di Sanremo attendevo le canzoni di due artisti: Daniele Silvestri e Simone Cristicchi.

La prima Argento vivo di Silvestri non mi è piaciuta neanche un po’. Più l’ascoltavo e più mi sembrava falsa. Daniele Silvestri non è più uno studente di 16anni con l’argento vivo addosso che vive la scuola come una prigione e dà colpa di questa condanna alla società che non gli ha dato possibilità di scelta sin dalla nascita. Daniele Silvestri per l’età che ha avrebbe potuto immedesimarsi meglio con chi combatte tutti i giorni contro l’usura della pazienza e dell’autostima: i bravi prof. Se veramente Silvestri volesse cambiare o anche solo denunciare il sistema scolastico – perché il problema è reale e attende da più di mezzo secolo risposte valide – dovrebbe partire dai valori, non dal tentativo di giustificazione di un comportamento carico di rabbia. Non tutti i ragazzi con disagi sociali hanno l’argento vivo addosso. Molti hanno solo brutte storie alle spalle. Una riforma del sistema scolastico deve ripartire da una riforma della società. Cosa non facile. In Giappone per quelli con l’argento vivo addosso si offre la possibilità di lavori manuali in attesa che giunga il tempo della curiosità, della lettura e dell’ascolto. Non ci si arrende, si cercano strade creative. Comunque, grande fiducia in Daniele Silvestri di cui in passato mi sono piaciute le avvolgenti armonie e l’acuta ironia.

La seconda Abbi cura di me di Cristicchi direi che è una canzone proprio godibile: sia testo, sia musica. Simone dice: “Nei versi della canzone, ricorre il tema millenario dell’accettazione, della fiducia, dell’abbandonarsi all’altro da sé, che sia esso un compagno, un padre, una madre, un figlio o Dio Nelle mie intenzioni, questo brano vuole essere una preghiera d’Amore universale, una dichiarazione di fragilità, una disarmante richiesta d’aiuto”.

Simone Cristicchi sta realizzando anche un documentario dal titolo “Happy Next – alla ricerca della felicità”. Raccontando la storia di diversi personaggi dello spettacolo e della cultura italiani – ma anche di gente comune – prova a rispondere alla domanda: che cos’è veramente la felicità?

Da sempre attivo come volontario in istituti di igiene mentale (vi ricordate la canzone Ti regalerò una rosa, con cui ha vinto il Festival nel 2007?) e nella difesa dei diritti umani (Genova brucia nel 2011 è stata premiata da Amnesty International Italia), in questo periodo si è avvicinato alla fede attraverso la spiritualità francescana. Ma a parte questo – perché non capisco mai quanto vi sia di sincero e quanto di costruito ad hoc dagli abili fabbricanti di spettacolo – la canzone ti arriva dritta al cuore. Perciò ecco il testo. Buon ascolto.

 

Abbi cura di me

Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare

Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole

Più che perle di saggezza sono sassi di miniera

Che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera

Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso

Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo

Perché la natura è un libro di parole misteriose

Dove niente è più grande delle piccole cose

È il fiore tra l’asfalto lo spettacolo del firmamento

È l’orchestra delle foglie che vibrano al vento

È la legna che brucia che scalda e torna cenere

La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere

Perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi

E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri

Tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo

E dai valore ad ogni singolo attimo

 

Ti immagini se cominciassimo a volare

Tra le montagne e il mare

Dimmi dove vorresti andare

Abbracciami se avrò paura di cadere

Che siamo in equilibrio

Sulla parola insieme

Abbi cura di me

Abbi cura di me

 

Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro

Basta mettersi al fianco invece di stare al centro

L’amore è l’unica strada, è l’unico motore

È la scintilla divina che custodisci nel cuore

Tu non cercare la felicità semmai proteggila

È solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima

È una manciata di semi che lasci alle spalle

Come crisalidi che diventeranno farfalle

Ognuno combatte la propria battaglia

Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia

Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso

Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso

Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo

Anche se sarà pesante come sollevare il mondo

E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte

E ti basta solo un passo per andare oltre

 

Ti immagini se cominciassimo a volare

Tra le montagne e il mare

Dimmi dove vorresti andare

Abbracciami se avrai paura di cadere

Che nonostante tutto

Noi siamo ancora insieme

Abbi cura di me qualunque strada sceglierai, amore

Abbi cura di me

Abbi cura di me

Che tutto è così fragile

Un fragile fiore

di Emma Vitali

Nel Messaggio di papa Francesco per la celebrazione della Giornata mondiale della pace 2019, dal titolo La buona politica è al servizio della pace troviamo le parole per costruire un programma annuale. È facile lamentarsi. Tutti notano la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio. Ma non tutti si rimboccano le maniche e iniziano un percorso virtuoso.

Dice il Papa: “La vita politica autentica, che si fonda sul diritto e su un dialogo leale tra i soggetti, si rinnova con la convinzione che ogni donna, ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una promessa che può sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali”. Fiducia ci vuole. Altro che giustizialismo o sospetto reciproco. Fiducia. Un grande anticipo di fiducia per tutti. Per far rivivere le vite asfissiate dalla desolazione dei rapporti privi di nutrimento. Per dare luce e aria agli ambienti muffi e malsani. Fiducia.

Una grande forza d’animo non s’inventa all’improvviso; nasce da una perseverante vigilanza su di sé attraverso regole e piccoli passi. Per creare pace bisogna anzitutto essere in pace con sé stessi, rifiutando l’intransigenza, la collera e l’impazienza e, come consigliava San Francesco di Sales, esercitando “un po’ di dolcezza verso sé stessi”, per offrire “un po’ di dolcezza agli altri”. Allora si potrà essere in pace con l’altro e con il creato.

Il papa cita nel Messaggio le “beatitudini del politico”, proposte dal Cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Vãn Thuận, che due giorni dopo essere stato nominato arcivescovo coadiutore di Saigon, fu arrestato dalla polizia. Trascorse tredici anni in prigione, di cui nove in isolamento. Non solo parole dunque, ma la sintesi di una vita.

“Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo.

Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.

Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse.

Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.

Beato il politico che realizza l’unità.

Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.

Beato il politico che sa ascoltare.

Beato il politico che non ha paura”.

Ricordiamo allora le parole di papa San Paolo VI: «Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità».

Liberi di scegliere.

Non ci sono scuse.

Buon 2019

Fimmine

di Adele Di Giovanni

 

Se la gioventù le negherà il consenso,

anche l’onnipotente e misteriosa Mafia svanirà come un incubo.

(Paolo Borsellino)

In una società dove la presenza della criminalità organizzata su stampo mafioso è appurata e tangibile, è importante e doveroso continuare a porre l’accento su messaggi di sensibilizzazione e promuovere attività di memoria, perché solo la conoscenza degli errori del passato potrà far sì che questi ultimi non si ripetano in futuro.

Molti ignorano l’importanza della figura femminile all’interno della lotta antimafia. Come disse Nando dalla Chiesa, l’antimafia è donna.

Ecco il senso dello spettacolo “Fimmine”: è un riconoscimento doveroso ai tutte quelle donne che per amore hanno sfidato la mafia e che con il loro coraggio hanno lasciato qualcosa di concreto alla società.

In 45 minuti si incontrano quattro donne, quattro storie ispirate dagli scatti fotografici di Letizia Battaglia, fotoreporter e politica italiana.

Ecco allora Rita Atria, che fissa il telefono di casa, unica sua fonte di collegamento con il mondo esterno. Uno squillo, e notizia che non avrebbe mai voluto sentire… Paolo Borsellino è morto.

Con un flashback, Rita ripercorre tutte le tappe che l’hanno portata lì: la perdita del padre, il forte legame con lo zio, e l’incontro con l’unico uomo di cui si poteva fidare: Borsellino.

Rita Atria, è stata testimone di giustizia a soli 17 anni, si è opposta al patriarcato mafioso, ha raccontato fatti e nomi, anche di esponenti politici collusi, “consentendo una ricostruzione ancora più precisa e approfondita del fenomeno mafioso partannese (…) benché minorenne mostrava immediatamente agli inquirenti grande determinazione nel collaborare con la Giustizia (…)” (Procura della Repubblica di Marsala 4 marzo 1992, firmata da Paolo Borsellino e dal sostituto Procuratore della Repubblica Alessandra Camassa).

Ed ecco la storia di Lucia che deve affrontare le conseguenze di un cognome ingombrante: Borsellino. Diventa il simbolo del senso del dovere. Ma Lucia è già così, è nel suo DNA, tanto che a poche ore dalla morte del padre, sostiene un esame in Università, lasciando tutti senza parole.

E poi Rosaria Costa, che al funerale di suo marito inveisce contro quelli che avrebbero dovuto difenderlo e proteggerlo. Eppure, nonostante tutto, trova la forza di perdonare mentre pretende giustizia.

E Mia Martini che con la sua inconfondibile voce spedisce dalla terra al cielo canzoni cariche di dolore e rabbia.

Attraverso i ricordi di queste figure, nello spettacolo si ripercorrono i tratti di una Sicilia messa in ginocchio. Si rivivono con loro – donne vere – paure, angosce, rabbia e voglia di giustizia. Tutte combattenti, ma nessuna realmente vincitrice, perché vincere qualcosa che non pensavi nemmeno di dover combattere è davvero la sfida più grande.

Super

È morto Stan Lee, l’uomo che ha creato e disegnato i supereroi della Marvel. Niente di che, si potrebbe dire. E invece è stato un grande perché, non dimenticandosi dei loro superproblemi, ha portato le lotte universali ed epiche dei supereroi all’interno della sfera del combattimento spirituale, morale, interiore. Una lotta con sé stessi e all’interno della loro società.

Stan mi ha fatto riflettere sui grandi temi della vita e della morte con una semplicità disarmante, sin da quando ero piccolo. E ancora oggi, con qualche anno in più e tante esperienze mi emoziono, sorrido, mi entusiasmo leggendo le loro storie: X-Men, I fantastici quattro, Thor, Gamora, Hulk, Bucky Barnes, Capitan America, Devil, Dottor Strange, Nick Fury, Iron Man, Marvel Girl, Occhio di Falco, Pantera Nera, Wasp, Punitore, Spiderman, Natasha Romanoff…

In suo onore ecco un suo breve scritto del 1968, tratto da una colonna dalla rubrica mensile “Stan’s Soapbox” (tenuta ininterrottamente dal 1965 al 2001, in Marvel Comics), nell’anno delle uccisioni dei Kennedy e di Martin Luther King:

“Mettiamolo in evidenza. Il bigottismo e il razzismo sono tra i mali sociali più letali che affliggono il mondo oggi. Ma, a differenza di una squadra di super-cattivi in ​​costume, non possono essere fermati con un pugno nello snoot o uno zap da una pistola a raggi. L’unico modo per distruggerli è portarli alla luce e rivelarli per i mali insidiosi che sono veramente. Il bigotto è un odiatore irragionevole, uno che odia ciecamente, fanaticamente, indiscriminatamente. Se il suo rammarico è di uomini neri, odia tutti gli uomini di colore. Se una rossa una volta lo ha offeso, odia tutte le teste rosse. Se qualche straniero lo ha picchiato a un lavoro, è giù a tutti gli stranieri. Odia le persone che non ha mai visto, persone che non ha mai conosciuto; con uguale intensità, con uguale veleno. Ora, non diciamo che è irragionevole per un essere umano infastidire un altro. Ma, anche se si ha il diritto di detestare un altro individuo, è totalmente irrazionale, insensatamente pazzo condannare un’intera razza, disprezzare un’intera nazione, denigrare un’intera religione. Prima o poi, dobbiamo imparare a giudicarci l’un l’altro per i nostri meriti. Prima o poi, se l’uomo sarà mai degno del suo destino, dobbiamo riempire i nostri cuori di tolleranza. Perché allora, e solo allora, saremo veramente degni del concetto che l’uomo sia stato creato a immagine di Dio; un Dio che chiama tutti noi, i Suoi figli.

Pax et Justitia,

Stan”.

Scritture di luce in Africa

di Agnese Novelli

È iniziato da poco -il 27 ottobre – e si concluderà il 15 novembre “Time Has Gone”, la nona edizione del LagosPhoto Festival, che esplora le modalità attraverso le quali il passato, il presente e il futuro interagiscono all’interno del mezzo fotografico. Il Festival internazionale nigeriano affronta il tema “Tempo” da diversi punti di vista: come movimento, come documentazione e conservazione, come intimità di una storia. Tempo, un concetto così ampio che i nostri scienziati, pensatori, filosofi, matematici, astrofisici hanno dichiarato di capirci ben poco. Forse solamente sant’Agostino si è avvicinato a dare una risposta promettente sul tema. Diceva: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Esiste la presenza di un passato e di un futuro: “…senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente”. Agostino propone di pensare al passato e al futuro come presente: il passato come «memoria», il futuro come «attesa». La memoria e l’attesa sono presenti. E il presente è «visione». Il tempo per Agostino è una dimensione dell’anima, è lo spirito umano che ordina e raccoglie le esperienze esterne che rischiano la dispersione e l’oblio. Il tempo è relazione.

In questo mistero si sono immersi i quattro curatori del Festival per indagare con le scritture di luce: Eva Barois De Caevel, Wunika Mukan, Charlotte Langhorst e Valentine Umansky. Dal loro lavoro emerge la non linearità del tempo e la complessità della nostra esperienza.

Azu Nwagbogu è fondatore e direttore della Fondazione African Artists. Del tema dice: ““Solo dopo aver fatto i conti con l’eredità del nostro passato possiamo costruire un nuovo racconto dell’Africa, fatto di storie che si contraddistinguano per la loro forza e verità”.

L’Africa è anche workshop, tavole rotonde, incontri con artisti e critica artistica; non solo guerre, fame e malattie. La fotografia contemporanea in Nigeria si caratterizza per l’impegno nell’esplorazione delle questioni storiche e contemporanee, nella promozione di programmi sociali, in particolare per le donne, e nella riqualificazione e coinvolgimento di spazi pubblici per le mostre.

Bisogna partire da qui per l’integrazione: non pietà e buonismo, ma ammirazione e collaborazione.

Amanti della vita

di Emma Vitali

Un Papa scomodo perché sincero, diretto. Sembrerebbe persino privo di tattiche diplomatiche. Dire che un medico si trasforma in sicario quando pratica l’aborto è un concetto forte. I massmedia hanno dato rilievo a questo passaggio del discorso del Papa, un po’ stupiti, un po’ scandalizzati.

Papa Francesco stava parlando ai cristiani, in un contesto catechetico. La Parola “non uccidere” risuona nel nostro quotidiano e il Papa, ascoltandola, ha ribadito a sé e alla Chiesa di oggi che cosa significa il quinto comandamento: “Si potrebbe dire che tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita. La vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo – leggiamo sui giornali o vediamo nei telegiornali tante cose –, dalle speculazioni sul creato e dalla cultura dello scarto, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, cioè, in qualche modo, uccidere”.

Basterebbe quest’urlo di papa Francesco a far gridare allo scandalo i benpensanti: “La Chiesa stia in chiesa e non si intrometta nella politica e nell’economia!”. Ma oggi si preferisce tacere sulla portata rivoluzionaria del Vangelo. Così si arriva al punto incriminato, in quanto fastidioso: “Un approccio contraddittorio consente anche la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti. Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Io vi domando: è giusto “fare fuori” una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario per risolvere un problema”.

Forse è giunto il momento per i cristiani di vivere la propria fede con meno comodità e con qualche fastidio in più. Forse è giunto il momento di gridare ciò che si pensa senza lasciarsi intimorire dagli sguardi carichi di scherno. Che sia giunto il momento di uscire dalla paura e dall’individualismo in cui ci siamo cacciati? Dice Francesco: “…colui, colei che si presenta come un problema, in realtà è un dono di Dio che può tirarmi fuori dall’egocentrismo e farmi crescere nell’amore. La vita vulnerabile ci indica la via di uscita, la via per salvarci da un’esistenza ripiegata su sé stessa e scoprire la gioia dell’amore”.

Allora ripartiamo dall’articolo 1 della Legge 194 in cui lo Stato «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Secondo la Legge l’aborto non è un diritto, difendere la vita sì.

L’estate è arrivata

Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’ invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.

L’estate è arrivata. E con essa lo stupore per la forza della vita.

Recentemente ho visto rappresentare in un oratorio milanese l’opera controversa di Rafael Spregelburd “Il panico”. Mi son detto: “Allora succede!” Può capitare di uscire dal pantano del finto buonismo accomodante, dello spettacolo che deve andar bene per tutti, che faccia ridere, simpatico, evasivo, nazional popolare. Succede, in un tempo imperfetto, in una primavera che sfocia nell’estate, di sentire dire alla Mariuccia – da lei che di vita ne ha tanta: “Non pensavo. Che bello. Che emozione. Che bravi.”.

Succede che vedo Chiara sul palco nei panni di Rosa Lozano. Un tempo era piccolina, ora è diventa donna e la sua interpretazione in scena di personaggi così contrastanti – pazzesca la sua trasformazione in Regina, prigioniera fatale, incapace di essere falsa – è così autentica che fatico a riconoscerla.

E ci sono i miei amici, incantati, orgogliosi per la prova attoriale della loro bimba. Belli come il sole.

E c’è Gildo che mi racconta dei suoi impegni – mentre dà retta un po’ a tutti – e del suo ultimo libro “Credere e ricredersi”, di cui parla piacevolmente.

E i registi Giovanni e Marianna, emozionati e bravi. E tutti gli allievi del laboratorio teatrale Quante Scene… in Giro. Facce dipinte di bello, di coraggio, di impegno.

L’estate è arrivata e i profeti di sventura che evocano tempi da tregenda si sciolgono come neve al sole. I giovani ci sono e portano aria nuova. Non sono tutti rinchiusi nei mondi social, non sono tutti gamers, non sono tutti fannulloni, non sono tutti delinquenti.

Mi piace dunque questo tempo imperfetto, carico di panico, perché scorgo in fondo al pozzo prosciugato delle relazioni umane il fiore che testimonia la voglia di vivere, e vivere bene.

Non è un Editoriale

Vado a trovare gli amici di Edizioni Terra Santa e, come sempre, rimango colpito dalla passione, dalla voglia di comunicare bene cose belle e importanti. Un nuoto controcorrente che commuove. Perciò ho deciso di scrivere un testo d’ammirazione più che l’abituale provocazione a pensare; una pagina pubblicitaria più che un editoriale. Inizio con tre libri, che non passano certo inosservati, e concludo con una iniziativa da sostenere.

  1. RIFUGIATA

Raccontata dalle suggestive tavole di Anna Gordillo, la drammatica esperienza di chi è costretto alla fuga e diventa profugo, vista con gli occhi di una bambina: «Perché mi hanno svegliato? Perché ho dovuto alzarmi in tutta fretta? È ancora notte. Stiamo andando via e prendiamo poche cose. Le facce di tutti riflettono paura e tristezza. Il mio papà mi prende per mano con forza e quasi mi fa male. Mi viene voglia di piangere. Ma non voglio piangere. Dove stiamo andando? E perché corriamo?».
In coda al libro una breve descrizione dei progetti sociali per i rifugiati sostenuti dalla Custodia di Terra Santa a Rodi e Kos, a favore dei quali sono destinati i proventi del libro.

Autori

Tessa Julià Dinarès è nata a Matadepera (Catalogna) nel 1952. Si è laureata in Pedagogia e Arti drammatiche all’Università di Barcellona e ha studiato tecniche narrative presso l’Aula de Lletres. Concilia la sua vita professionale di insegnante con la scrittura.

Anna Gordillo Torras è nata a Terrassa (Catalogna) nel 1984. Studia Belle Arti all’Università di Barcellona e, dopo alcuni anni di esperienza nel settore culturale come insegnante, decide di dedicare più tempo ed energie all’illustrazione e alla pittura. Nel 2014 si iscrive al corso di illustrazione della Escola de la Dona di Barcellona e poco tempo dopo si trasferisce nel Regno Unito, dove frequenta il master di Illustrazione per racconti dell’infanzia presso la Cambridge School of Arts. Nel 2016 ha ricevuto una menzione al Premio MacMillan.

  1. LATTE, MIELE E FALAFEL. LE MILLE TRIBÙ DELLO STATO DI ISRAELE

Un libro di viaggio, di scoperta, quasi una guida tra le tante “tribù” della società israeliana: Drusi, musulmani, abitanti di colonie e di kibbutz, beduini, “laici” di Tel Aviv, cristiani, samaritani: componenti diverse di un unico Stato, piccolo eppure estremamente variegato. Un lucido ritratto di Israele a partire dai suoi abitanti, corredato da un’attenta analisi dello storico Bruno Segre a 70 anni dall’indipendenza del Paese.

Autrice

Elisa Pinna, giornalista e scrittrice, lavora per l’Agenzia ANSA, dove ha svolto i ruoli di quirinalista, vaticanista, inviata per il Mediterraneo e il Medio Oriente. Nel 2016 è stata corrispondente da Teheran. Tra i suoi libri: Il tramonto del cristianesimo in Palestina (2005), Il viaggio di Paolo. Dialogo tra un sacerdote e una giornalista (2012), Padri Nostri. I retroscena delle dimissioni di Ratzinger (2013); per Edizioni Terra Santa è inoltre tra gli autori di Iran. Guida storico-archeologica (2017). Collabora con diverse riviste, tra cui Terrasanta e Terrasanta.net. È sposata e ha due figlie.

  1. UN DONO D’AMORE. SERMONI DA “LA FORZA DI AMARE” E ALTRI DISCORSI

Uscito nel 1963 e pubblicato in Italia con il titolo La forza di amare, questo è sicuramente uno dei libri più famosi di Martin Luther King in italiano. Un’opera intensa, forte, dal messaggio più che mai attuale, che parla ancora oggi a tutti noi.

Oggi il libro viene riproposto al pubblico italiano in una nuova edizione, nel 50° anniversario dell’assassinio dell’autore (4 aprile 1968), con l’aggiunta di un testo totalmente inedito in Italia, in cui King raccoglie le impressioni suscitategli da un viaggio in Terra Santa:

«Non dimenticherò mai quello che ho provato dentro di me».

Traduttori dall’inglese

Francesca Cosi e Alessandra Repossi.

Infine, come dichiarato, una iniziativa da sostenere organizzata da Fondazione Terra Santa: TALKING ABRAHAM. STORIA DI AMORE, AMICIZIA E TRADIMENTI.

Il 4 maggio 2018, al Teatro Sant’Angelo di Milano, viene presentato per la prima volta e gratuitamente al pubblico, spettacolo in quattro atti, una delle prime realizzazioni di teatro sociale ispirata alla Bibbia, nata dalla passione e dalla capacità di racconto di Paolo Curtaz, teologo e scrittore, che sceglie il racconto di Abramo come specchio delle vicende umane. A dialogare con lui sul palcoscenico, Aglaia Zannetti, attrice e speaker, che interpreta canzoni, cura l’allestimento e la struttura teatrale. Il racconto è accompagnato dalle musiche eseguite da Enrico Merlin, chitarrista di livello internazionale, compositore e musicologo, che si è unito a questo nuovo straordinario progetto.

Buona lettura, buona visione!

Buona Pasqua a chi vive nei conflitti dimenticati

Buona Pasqua alle donne.

Buona Pasqua agli uomini.

Buona Pasqua ai governanti, ai popoli e a tutti gli esseri viventi.

Buona Pasqua a Papa Francesco e al Papa emerito Benedetto XVI.

Buona Pasqua a chi vive nei conflitti dimenticati, in: Algeria, Colombia, Afghanistan, Kossovo, Iraq, Burundi, Perù, Filippine, Turchia, Israele e Palestina, Mali, El Salvador, Nepal, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia, Somalia, Cecenia, Sud Sudan, Sri Lanka, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Liberia, Myanmar, Uganda, India.

Buona Pasqua a chi ha fame, a chi ha sete, e a chi vive sulla propria pelle le ingiustizie economiche.

Buona Pasqua ai denigrati, ignorati, perseguitati, svalutati.

Buona Pasqua a chi pensa di avere tutto e a chi pensa di avere niente.

Santa Pasqua a tutti da Synesio.

Maurice Denis – Mattino di Pasqua (1891)

Nel 1888, all’Accademia Julian di Parigi, Maurice Denis conosce Paul Sérusier, Pierre Bonnard e Paul Ranson, con i quali fonda il gruppo dei pittori Nabis (Profeti), gruppo che si rifaceva, nei propri ideali estetici, alle opere e alla poetica di Paul Gauguin, per il superamento del naturalismo impressionista tramite un ritorno all’arte primitiva e giapponese. Denis venne chiamato “il Nabi dalle belle immagini”.

Come “Nabi” Maurice Denis dipinge quadri di stampo intimistico, enigmatico ed i temi della sua pittura, di carattere religioso o situazioni della vita quotidiana, sono portati in una dimensione ideale ed irreale, in un’atmosfera di calda e serena intimità, ottenuta con un tratto estremamente delicato. Dapprima propose le immagini di soggetto religioso, in forme primitive, ispirate a Beato Angelico. Poi modificò e arricchì il suo stile influenzato dall’Art Nouveau.

Fu un per tutta la vita un fervente cattolico. Ricevette numerose commissioni per la decorazione di chiese e questo lo fece tornare alla grande tradizione della pittura murale eseguendo affreschi solenni di impianto monumentale, ispirati da un cattolicesimo letterario.

Maurice Denis fondò, nel 1919, gli Ateliers d’Art Sacré, dedicando molto tempo alla preghiera, tanto da diventare terziario di San Domenico. Partecipò alla vita sociale del suo tempo: fu amico dello scrittore André Gide e di Paul Cézanne.

Diventa ciò che sei

“Il prossimo Sinodo sui giovani ha come tema centrale il discernimento vocazionale. Quando si ascolta la parola ‘vocazione’, la prima cosa che di solito viene in mente è la vocazione alla ‘vita consacrata’. Ma la chiamata di Dio è più ampia: non è limitata alle forme ‘perfette’. È anche l’umile e continua ‘vocazione universale alla gioia dell’amore’ che il Padre rivolge a tutti”. Lo scrive padre Diego Fares, redattore de La Civiltà Cattolica, nel numero di marzo.

“Per poter ascoltare questa chiamata e scegliere il tipo di servizio in cui si concretizza l’amore è necessario crescere nella pratica del discernimento spirituale”, spiega padre Fares. Il documento preparatorio è un insieme di discorsi papali e documenti carichi di sapienze. Ma già letti, forse un po’ datati.

In vista del Sinodo sui giovani c’è chi non si arrende a risposte già sentite e linguaggi clericali e cerca di sviluppare una riflessione seria, rigorosa e soprattutto libera. C’è chi decide di riservare un tempo e un luogo alla elaborazione del senso. Come prendere decisioni? Ascoltando quali voci? Con quale idea sull’intero della propria vita?

Con il filosofo Silvano Petrosino a Pavia si guarderà al futuro e alle linee interpretative prevalenti, anche tra i giovani, approcci estremi quanto ingenui: dal considerarsi in balia di un destino già scritto, inesorabile, al sentirsi sopraffatti da un astratto ideale di eccellenza. Naturalmente in un quadro societario di competizione sregolata e violenta. Ecco dunque la ricerca: comprendere come libertà personale e legami sociali possano nutrirsi a vicenda. Il compimento di ciascuno è immaginabile solo in un dinamismo comunitario.

Di qui l’idea che sta alla base del progetto: combattere la retorica sui giovani allargando al territorio, in chiave filosofica e pedagogica, interrogativi che non possono rimanere interni al recinto ecclesiastico e che i giovani stessi hanno la responsabilità di assumere, in dialogo con le altre generazioni. Il titolo del percorso ne esprime il focus principale: la sfida dell’unicità, cioè del “come” diventare ciò che si è.

Destinatari i giovani dai 18 ai 30 anni, ma anche genitori, educatori, insegnanti, operatori pastorali…

Obiettivi: rendere pubblica la riflessione sul rapporto col proprio futuro e con le scelte da compiere; lavorare insieme a rivedere forme e linguaggi delle pratiche educative tradizionali; innescare un circolo virtuoso tra riflessione teorica e sfide quotidiane.

Dove: Collegio Borromeo Pavia

Quando: lunedì 9 aprile ore 21

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