Fimmine

13 Dic

2018

di Adele Di Giovanni

 

Se la gioventù le negherà il consenso,

anche l’onnipotente e misteriosa Mafia svanirà come un incubo.

(Paolo Borsellino)

In una società dove la presenza della criminalità organizzata su stampo mafioso è appurata e tangibile, è importante e doveroso continuare a porre l’accento su messaggi di sensibilizzazione e promuovere attività di memoria, perché solo la conoscenza degli errori del passato potrà far sì che questi ultimi non si ripetano in futuro.

Molti ignorano l’importanza della figura femminile all’interno della lotta antimafia. Come disse Nando dalla Chiesa, l’antimafia è donna.

Ecco il senso dello spettacolo “Fimmine”: è un riconoscimento doveroso ai tutte quelle donne che per amore hanno sfidato la mafia e che con il loro coraggio hanno lasciato qualcosa di concreto alla società.

In 45 minuti si incontrano quattro donne, quattro storie ispirate dagli scatti fotografici di Letizia Battaglia, fotoreporter e politica italiana.

Ecco allora Rita Atria, che fissa il telefono di casa, unica sua fonte di collegamento con il mondo esterno. Uno squillo, e notizia che non avrebbe mai voluto sentire… Paolo Borsellino è morto.

Con un flashback, Rita ripercorre tutte le tappe che l’hanno portata lì: la perdita del padre, il forte legame con lo zio, e l’incontro con l’unico uomo di cui si poteva fidare: Borsellino.

Rita Atria, è stata testimone di giustizia a soli 17 anni, si è opposta al patriarcato mafioso, ha raccontato fatti e nomi, anche di esponenti politici collusi, “consentendo una ricostruzione ancora più precisa e approfondita del fenomeno mafioso partannese (…) benché minorenne mostrava immediatamente agli inquirenti grande determinazione nel collaborare con la Giustizia (…)” (Procura della Repubblica di Marsala 4 marzo 1992, firmata da Paolo Borsellino e dal sostituto Procuratore della Repubblica Alessandra Camassa).

Ed ecco la storia di Lucia che deve affrontare le conseguenze di un cognome ingombrante: Borsellino. Diventa il simbolo del senso del dovere. Ma Lucia è già così, è nel suo DNA, tanto che a poche ore dalla morte del padre, sostiene un esame in Università, lasciando tutti senza parole.

E poi Rosaria Costa, che al funerale di suo marito inveisce contro quelli che avrebbero dovuto difenderlo e proteggerlo. Eppure, nonostante tutto, trova la forza di perdonare mentre pretende giustizia.

E Mia Martini che con la sua inconfondibile voce spedisce dalla terra al cielo canzoni cariche di dolore e rabbia.

Attraverso i ricordi di queste figure, nello spettacolo si ripercorrono i tratti di una Sicilia messa in ginocchio. Si rivivono con loro – donne vere – paure, angosce, rabbia e voglia di giustizia. Tutte combattenti, ma nessuna realmente vincitrice, perché vincere qualcosa che non pensavi nemmeno di dover combattere è davvero la sfida più grande.

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