Editoriale

03 Ott

2016

Il presepe e la bandiera

I simboli sono fatti per aggregare. Nei simboli ci si riconosce. In occasione di eventi sportivi, ad esempio, tutti si ricoprono del Tricolore, simbolo di identità nazionale e di amor patrio. Lo sventolano tutti: i cittadini onesti come gli evasori fiscali, i corrotti, i corruttori, i mafiosi… Qualcosa di simile può capitare anche al presepe, eletto a simbolo di una identità cattolica da difendere. Il tema è delicato e ben si presta a strumentalizzazioni politiche, soprattutto in un momento turbato dalla paura.

Al di là delle diverse scelte operate da presidi scolastici e parroci, farebbe bene riflettere su quale sia lo spessore di questa identità cattolica da difendere attraverso un presepe che nelle case fa bella mostra di se, ma rischia di essere solo una sfarzosa decorazione. Come il Tricolore sventolato allo stadio anche da chi molto patriota non è.

La difesa di un simbolo identitario ha senso se esiste almeno la consapevolezza della necessaria quotidiana coerenza ai valori rappresentati dal simbolo si vuole difendere. Altrimenti è solo la sopravvivenza di un bel soprammobile o l’utilizzo di uno strumento di contrapposizione. Prima di brandire presepi occorrerebbe poi ricordare che il presepe, nel quale i praticanti ufficiali del tempo sono assenti, è popolato da persone ai margini come i pastori e da pagani provenienti da paesi lontani come i Magi.

Tutti attorno ad un bambino che diventato adulto dirà ai suoi seguaci che nessuno ha un amore più grande di quello di dare la propria vita. Un valore che ritrovo anche nel modo laico di concepire le relazioni tra identità diverse espresso nella frase attribuita a Voltaire: “Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo”.

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